Nuova scoperta: l'Aids si trasmette da mamma e figlio con il cibo premasticato

L'infezione da virus Hiv Aids si trasmette da un soggetto all' altro attraverso il cibo pre masticato, pratica usata dalle mamme o dai papà con il proprio figlio. Lo scrive "il times of India" riportando la scoperta effettuata dai ricercatori guidati dal dottor Aditya Gaur del St. Jude Children's Research Hospital.
Gli studiosi hanno accertato tre casi di passaggio dell' Aids attraverso il cibo pre masticato, tracce del virus sarebbero state presenti nel sangue della saliva di chi ha masticato il cibo prima di darlo al proprio bimbo.
Il caso più evidente che ha portato alla formulazione della scoperta è stato quello di una bambina di 9 mesi portata al St.Jude perchè positva al test Hiv. Il neonato
che alla nascita era sieronegativo, avrebbe contratto il virus proprio nel passaggio del cibo masticato dalla propria mamma sieropositiva. La donna non ha mai allattato il bimbo. Al piccolo non sono state effettuate trasfusioni di sangue, non ha subito violenze e non ha mai avuto ferite. I test genetici hanno alla fine rivelato che la figlia è stata infettata con lo stesso ceppo del virus HIV appartenente alla madre.
Indagando accuratamente sulle pratiche di alimentazione della piccola i ricercatori hanno scoperto che la mamma utilizzava in maniera costante la premasticazione.
"E' noto che dare ai propri neonati cibo precedentemente masticato favorisce la trasmissione di infezioni di streptococchi ed epatite B - dice il dottor Gaur - l'Hiv è stato trasmesso con la stessa metodologia, anche se prima della scoperta di questi casi non ne avevamo la prova".
I risultati dello studio sono stati pubblicati nella rivista Pediatrics.

Cos'è lo stalking, il comportamento ossessivo

Alcuni comportamenti come telefonate, “visite a sorpresa” e persino l’invio di fiori o regali, sono graditi segni di affetto che, tuttavia a volte, possono trasformarsi in vere e proprie forme di persecuzione in grado di violare la privacy, giungendo addirittura a spaventare chi ne è destinatario suo malgrado. In tali circostanze si parla di “stalking”, che letteralmente significa “fare la posta”, ma è liberamente tradotto con “sindrome delle molestie assillanti”. Consiste in quell’insieme di condotte vessatorie e persistenti nei confronti di una persona che si manifestano mediante pedinamenti, minacce, incessanti telefonate, incontri apparentemente casuali, ossessivo invio di lettere o sms, scritte sui muri e continue forme di provocazione (anche mediante violenza) in luoghi pubblici e privati. Si tratta di atti e di fatti che, valutati singolarmente ed estromessi dal contesto che li determina, possono apparire “stupidi ed insignifi canti”, ma che impediscono a chi ne è vittima ogni normale svolgimento della vita di relazione. A diventare “stalker” può essere una persona con cui si ha un qualche tipo di rapporto (familiare, amicale, professionale) o perfino uno sconosciuto incontrato anche solo per caso, magari per motivi di lavoro o conosciuto in palestra. Gli studi sulla personalità dello stalker hanno condotto ad un profi lo personologico e psicopatologico assai vario, dovuto all’eterogeneità dei comportamenti messi in atto nei confronti della vittima designata. I dati emersi in letteratura affermano che nella maggior parte dei casi gli stalker appartengono al sesso maschile, sono single, senza relazioni intime signifi cative in corso e con forti diffi coltà a gestire i rapporti interpersonali.
Nel 70% dei casi le vittime sono donne (dati dell’Osservatorio Nazionale sullo Stalking), ma a rischio sono anche coloro che svolgono professioni di aiuto, quali medici, infermieri, psicologi. La vittima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene perseguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite: in base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche fl ashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress. In molti casi inoltre le vittime non denunciano questi comportamenti per paura che la situazione diventi ancora più insostenibile, tuttavia il primo passo per cercare di venirne fuori è trovare il coraggio di denunciare senza vergogna e senza imbarazzo.

Perchè l'obesità porta allo sviluppo del diabete di tipo 2

Gli scienziati hanno dimostrato perchè l'obesità è legata all'insorgenza del diabete di tipo 2. Si tratterebbe di una scoperta chiave utile per portare alla progettazione di un farmaco per prevenire la malattia. Un nuovo studio ha rivelato che le cellule di grasso rilasciano una proteina PEDF che fa sì che muscoli e fegato ignorino l'insulina, ciò fa scattare una catena di eventi e delle interazioni che portano allo sviluppo del diabete di tipo 2.
Il Prof. Matteo Watt della Monash University, che ha guidato il team, ha dichiarato: "quando la proteina Pedf viene rilasciata nel sangue rende meno sensibile i muscoli e il fegato all' insulina, a questo punto il pancreas produce più insulina per bilanciare questi effetti negativi - continua ancora il Prof. Watt - Questo rilascio fa sì che il pancreas sia sovraccarico di lavoro portando il paziente a sviluppare il diabete di tipo 2". L' equazione è che più grasso sviluppi una persona meno diventi sensibile all' insulina che è necessaria per mantenere un giusto livello di glucosio nel sangue. "I nostri studi mostrano che l'incremento della proteina PEDF porta al diabete di tipo 2, ma soprattutto che ,bloccando la proteina, il corpo torna ad essere sensibile all' insulina." Secondo gli scienziati, il fatto di aver identificato questo collegamento spiega le ragioni per cui l'obesità provoca l'insorgenza del diabete di tipo 2.
I risultati sono pubblicati nell'ultima edizione del Cell Metabolism da cui questo articolo è stato tratto.

Vitiligine, cosa fare e le terapie giuste

Dopo l’estate, ma anche in altri periodi dell'anno, c’è chi si trascina un fastidioso cambiamento della colorazione della pelle, messo in evidenza dall’abbronzatura. Si tratta della vitiligine, una malattia caratterizzata dalla comparsa sulla cute o sulle mucose di chiazze non pigmentate, ovvero di zone ove manca del tutto la fisiologica colorazione dovuta alla melanina, contenuta nei melanociti che resterebbero vitali ma metterebbero di produrre il pigmento. Le macchie hanno un colore decisamente bianco con margini ben delimitati e piuttosto scuri e la pelle delle zone colpite, a parte la mancanza di pigmento, è assolutamente normale.
Le parti “bianche” non abbronzandosi sono a rischio di eritemi o ustioni solari come la pelle di un neonato, per cui necessitano durante la stagione estiva di una totale protezione dai raggi ultravioletti. La causa della vitiligine è sconosciuta, anche
se si sospettano fattori autoimmuni e predisposizione genetica. Non sono noti i fattori scatenanti o favorenti anche se è stata documentata una incidenza maggiore tra componenti della stessa famiglia o a seguito di un evento stressante che da il via alla manifestazione primaria o alla sua recrudescenza.
Varie malattie di origine autoimmune possono associarsi alla vitiligine e le malattie tiroidee sono quelle più comunemente presenti in circa il 30 per cento dei casi. Va chiarito però che la cura della malattia associata migliora la vita dei pazienti ma non influisce affatto sull’andamento della vitiligine. E’ una malattia non contagiosa, né grave ai fini della salute, ma sicuramente complessi potrebbero essere i risvolti psicologici, per il senso di isolamento e depressione che a volte segue la comparsa delle macchie. Ciò è tanto più vero quanto la persona affetta da vitiligine si sente diversa dalle altre o addirittura rifiutata ed osservata per il problema estetico che le macchie generano. La lunga lista di terapie suggerite per la cura della vitiligine conferma la mancanza di un’unica opzione valida; si può sperimentare la PUVA-Terapia che consiste nell’assunzione di Psoraleni per via generale e successiva esposizione ai raggi UVA; l’uso di cortisonici locali; Psoraleni locali più luce solare. Si può approcciare anche chirurgicamente con un trapianto di cute pigmentata sulle chiazze di vitiligine; alcune volte i melanociti trasferiti ripigmentano le aree chiare. La terapia di prima scelta è oggi la Fototerapia UVB a banda stretta (lunghezza d’onda 311 nm.) perché i raggi luminosi di questa particolare banda ristretta sono più efficaci nello stimolare la melanogenesi e quindi la pigmentazione. Si fanno due o tre sedute settimanali e nel 70 per cento dei casi nei primi tre mesi si nota la comparsa di piccoli puntini di pigmentazione all’interno delle chiazze che possono richiedere anche più di un anno di terapia per la completa guarigione.

Che cos'è una vulvo vaginite, irritazione della vagina

A tutte le donne, almeno una volta nella vita, e capitato ai soffrire di fastidiosi pruriti o bruciori a livello vulvo vaginale associati o meno a secrezioni e/o odore sgradevole, possono trattarsi di :
VULVOVAGINITI BATTERICHE: spesso si tratta di batteri presenti nell'intestino che, data la stretta vicinarla anatomica tra ano ed ingresso vaginale nelle donne, a seguito di disturbi intestinali (stipsi odiarrea), non corretta igiene personale, rapporti sessuali non protetti, possono colonizzare la vagina; altre forme batteriche possono essere trasmesse sempre attraverso rapporti sessuali o anche frequentazione dì luoghi pubblici (palestre, piscine, ecc.). I sintomi sono caratterizzati prevalentemente da bruciori, arrossamento e secrezioni bianco giallastre più o meno abbondanti. Esistono poi delle forme il cui unico sintomo è caratterizzato da perdite vaginali con odore sgradevole, tipo pesce marcio, che spesso si accentua dopo un rapporto sessuale.

VULVOVAGINITI MICOTICHE: la forma più comune è la classica Candida. Anche in questo caso il passaggio a livello vaginale è spesso favorito dalla presenza di disturbi intestinali, da alterazioni nella dieta, con una maggior assunzione di zuccheri e lieviti, oppure come conseguenza di una terapia antibiotica. I sintomi sono caratterizzati da prurito intenso, forte arrossamento e, ma non sempre, secrezioni bianche dense "ricottose".

VULVOVAGINITI VIRALI: le due forme più frequenti sono quella da Herpes, caratterizzata dalla comparsa di piccole vescicole a grappolo che rompendosi danno un bruciore e dolore intenso, e quella da HPV, nota comunemente con il termine di verruche genitali o condilomi che necessitano di un trattamento particolare, a volte di tipo chirurgico.

VULVOVAGINITI ASPECIFICHE: comunemente dette da irritazione, conseguenti al contatto con detergenti intimi troppo aggressivi, indumenti stretti, colorati o allergizzanti, contatto con il lattice del preservativo o con la plastica degli assorbenti. La diagnosi viene fatta con la vista ginecologica, con l'ausilio del Pap-test o di tamponi vaginali, con la risposta dei quali viene prescritta la terapia a base di specifiche creme, lavande, ovuli vaginali e/o preparati per bocca.