Ossa più sane con la birra

L’October fest è già passato ma l’effluvio di quella bevanda, ormai così comune anche sulle nostre tavole, resta ancora intenso e tentatore. Bibita nazionale in molti paesi del Nord Europa, sta gradualmente guadagnando sempre più favori anche sulle tavole e nei pub di tutta Italia.
Prodotto sano, ormai apprezzato in tutto il mondo per il gusto e le varietà prodotte (dalle lager tradizionali alle stout) viene ben definito in dietologia il “pane liquido”.

La birra, bevanda ottenuta dalla fermentazione del malto d’orzo insaporita con luppolo, andrebbe a buon diritto definita alimento vista la presenza nel prodotto finito di proteine e carboidrati.
Ma, bere birra fa bene? Allo stato attuale delle ricerche si può tranquillamente dire che la birra è una bevanda salutare e nutriente e, purchè assunta in modica quantità, non è dannosa, bensì benefica per il nostro organismo.

Considerati i valori nutrizionali e la percentuale di alcol, si può affermare che la birra è nutriente ma povera di calorie (ne contiene, infatti, meno rispetto ad altre bevande alcoliche, compreso il vino). 100g di birra presentano appena 34 calorie (le stesse fornite da un comune succo d’arancia); nelle light si scende a 28 calorie, mentre nelle birre “robuste” si arriva ad un massimo di 60. Quanta birra si può bere? Per quanto sana e non troppo
calorica, non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di una bevanda alcolica e che, quindi, è importante non eccedere nel consumo. Tradotto praticamente significa che al giorno possiamo bere fino ad un massimo di 2 o 3 bicchieri da 0,25cl l’uno (pari a circa 20-30g di alcol rimanendo così al di sotto della media consentita di 40g per l’uomo e 30 per la donna). Se considerata parte integrante di un’alimentazione sana e bilanciata, rappresenta una buona fonte di (35mg/100g), magnesio, vitamine e sali minerali. Basso, invece, il contenuto di sodio (10mg/100g). E’, inoltre, una fonte di solubile (derivata dalle pareti cellulari del malto d’orzo) che, oltre ad aiutare le funzioni intestinali, rallenta la digestione e conseguentemente, anche l’assorbimento del cibo. Un moderato consumo di birra ha effetti positivi anche su alcune patologie. Alcuni articoli pubblicati su American Journal of Epidemiology indicano nel basso contenuto di calcio e nella significativa presenza di magnesio propria della birra i fattori preventivi contro il rischio di formazione di biliari e renali, che un consumo moderato di 0,33cl al giorno, può ridurre del 40%. La birra, inoltre, agisce i radicali liberi, riconosciuti come una delle cause di arteriosclerosi e malattie cardiovascolari, nonchè dell’invecchiamento della pelle.
Grazie al suo modesto contenuto in alcol, agisce anche sull’aumento del “buono” con un più 4% di HDL diminuendo di contro quello “cattivo” (LDL). Una dose giornaliera di birra riduce del 24,7% i rischi di malattie cardiovascolari (come da studi condotti in Olanda dall’Istituto di Nutrizione e Ricerca sul Cibo). Ultime ricerche ne dimostrano l’efficacia anche nei confronti delle donne, in quanto la dorata bevanda produce un aumento dei livelli di estrogeni. Il luppolo, inoltre, contiene
principi attivi che prevengono il rilascio di calcio dalle ossa, diminuendo così il rischio dell’osteoporosi.

Infertilità maschile sempre più diffusa, come fare?

Al X Congresso della Società Italiana di Fisiopatologia della Riproduzione è emerso un dato estremamente allarmante: l’infertilità maschile è sempre più diffusa. Al punto che spesso si trovano uomini infertili già a 30 anni.
Che sta succedendo? “Questo dato è frutto di una sempre maggiore esposizione all’inquinamento e allo stress” risponde convinto il professor Andrea Fabbri, professore associato di Edocrinologia Medica presso l’Università di Tor Vergata.
Innanzitutto – prosegue – si è più esposti agli agenti tossici esterni. Penso alla contaminazione alimentare da estrogeni, ormoni femminili che agiscono in antagonismo con quelli maschili, ed ad altri inquinanti chimici. C’è poi un aspetto legato allo stress, fattore che agisce negativamente sulla spermatogenesi cioè sul processo di formazione degli spermatozoi. Una sperimentazione, ad esempio, ha dimostrato che nei detenuti in attesa nel “Braccio della morte”, la spermatogenesi quasi si annulla. Un altro fattore di rischio sulla fertilità maschile è il fumo che riduce sensibilmente la motilità degli spermatozoi”.

Il problema dell’infertilità oggi colpisce una coppia su cinque.

L’origine del “problema” è per il 30 per cento addebitabile all’uomo. E una pari percentuale è della coppia. “ C’è una serie di concause che determinano questa incidenza di patologia maschile così alta – segnala il prof. Fabbri – una di quelle più importanti è la presenza del varicocele, un problema di natura vascolare. Un maschio adulto su cinque ne soffre e va detto che in quei soggetti il rischio di infertilità è cinque volte superiore alla norma. La conseguenza del varicocele, specie del testicolo sinistro, è un ristagno venoso, quindi un aumento della temperatura locale e, perciò, un danno alla spermatogenesi. Un consiglio che mi sembra utile dare è che in chi soffre di varicocele, una condizione che può essere documentata con certezza solo con il doppler, sono sconsigliati impegni che possano aumentare il flusso sanguigno nella zona bassa del corpo: penso all’uso dei pesi nella palestra o alla subacquea”. Quand’è che una coppia deve preoccuparsi se non riesce ad avere figli? “Spesso – conclude il docente di Endocrinologia Medica – c’è un allarmismo ingiustificato nelle coppie che provano per qualche mese. Per parlare di difficoltà bisogna superare almeno i dodici mesi di rapporti intenzionalmente fertili. A quel punto è importante rivolgersi ad uno specialista per combattere l'infertilità maschile”.

Meglio un farmaco generico?

Stentano ad affermarsi in Italia i farmaci generici o equivalenti, come si denominano più recentemente le medicine prive di “griffe” e quindi più economiche. Lo dimostrano i dati ma, ancor di più, lo ha testimoniato recentemente la rivista Altroconsumo che ha condotto tra medici e farmacisti un interessantissimo test. Su 75 medici sentiti da Altroconsumo in 34 città italiane, ai quali è stato chiesto un farmaco economico ed appropriato per combattere il dolore per un mal di denti, solo 21 medici hanno indicato un farmaco generico o equivalente.
Ciò significa che la sfida con la “griffe” è stata persa 21 a 54. Leggermente meglio sul fronte dei farmacisti: la metà di quelli intervistati (33 casi nei quali l’ipotesi era realizzabile) ha spontaneamente o su richiesta sostituito il prodotto di marca indicato dal medico di base con un altro più economico.
Nel frattempo nelle farmacie ha fatto ingresso una locandina stampata dalla Federfarma, la federazione dei farmacisti. All’insegna dello slogan “Abbassiamo la febbre dei prezzi con i farmaci equivalenti” si si ricorda al paziente: “Puoi risparmiare sino al 40 per cento, consigliati con il tuo farmacista”. In realtà, si capisce che il processo di sostituzione è lento ma, sopratutto, a detenerne il controllo è il medico di famiglia.
Per questo abbiamo chiesto a Mario Falconi, appena rieletto Presidente della Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale), cosa ostacola il decollo di questa nuova forma di risparmio della spesa sanitaria.

Innanzitutto – risponde – c’è un aspetto d’impatto psicologico già nella definizione di questi farmaci. Sin dall’inizio abbiamo chiesto di chiamarli non generici ma equivalenti. Solo quattro mesi fa si è capito che il termine generico sminuisce il valore equivalente del farmaco di sostituzione. C’è poi un altro aspetto. Le autorità vorrebbero che si raggiungessero le quote di mercato già presenti in Germania e in Inghilterra dove il sistema è in piedi da diversi anni. Non si dice però che tra equivalenti e generici si è già superato il 10 per cento del mercato complessivo, sottolineando anche che le case produttrici per alcuni prodotti hanno quasi equiparato il loro prezzo con l’equivalente. E’ il caso, per esempio, dell’Aulin che costa quasi quanto il Nimesulide”.

C’è poi un’altra questione – prosegue Falconi – ed è la resistenza che fanno anche i pazienti. Loro sono i primi che vorrebbero risparmiare ma cambiare il farmaco con la sua scatolina colorata non è come sostituire un paio di scarpe. Ci sono componenti emotive, il cosiddetto effetto placebo, che entrano in gioco. Eppoi, ci si chiede, non è che anche per le medicine succede come con le sottomarche di orologi o cellulari che non c’è tanto da fidarsi?”.

Farmaci da portare in vacanza

Allontanarsi da casa per le vacanze significa anche fare a meno del proprio medico o del farmacista di fiducia. Trovarsi all’estero, alle prese con un malanno passeggero e con qualche problema di lingua, non è una situazione gradevole. E’ in questi casi che si apprezzano le medicine “salvavacanza”, suggerite prima della partenza e diligentemente portate in valigia.
Ecco secondo uno standard internazionale, i principali farmaci che non possono mancare.
Ovviamente, possono variare in funzione dell’età dei viaggiatori, delle destinazioni, della durata della vacanza.

Innanzitutto, mettere in valigia le medicine che si assumono abitualmente, in dosi sufficienti per coprire l’intera vacanza, poi, un mini-kit per il pronto soccorso:
cerotti, garze, salviettine disinfettanti, un flacone di disinfettante non alcolico, un paio di confezioni di ghiaccio sintetico in buste (specie se si prevedono escursioni in montagna, dove può capitare di scivolare e farsi male).

Un antibiotico a largo spettro (ad esempio a base di amoxicillina) da assumere in caso di febbre alta prolungata.
Un antibiotico intestinale. Un antiacido per i bruciori di stomaco. Un anticinetosico sotto forma di cerotti, compresse o chewingum per il mal di viaggio. Antidolorifici (aciso acetilsalicilico, paracetamolo, ibuprofenem propifenazone ecceter); alcuni, come il paracetamolo, funzionano anche come antipiretici.
Antispastici in pomate e compresse in caso di punture d’insetto, eritemi, ecxemi.

Un collirio decongestionante e antisettico per gli occhi.

Lacrime artificiali, particolarmente utili durante i viaggi in aereo, per combattere la secchezza oculare.
Un gel o una pomata per ridurre tumefazione e dolore in caso di strappi muscolari e contusioni.
Una pomata, un gel o uno spray anestetico per gli eritemi solari e le piccole ustioni.
Un lassativo in caso di stitichezza. Naturalmente, si leggano attentamente le istruzioni d’uso e, magari, ci si faccia consigliare dal proprio medico prima di partire.
Buon viaggio e…speriamo non servano.

Diagnostica per Immagini e medicina di laboratorio

Senza dubbio i progressi della medicina negli ultimi vent’anni sono stati notevoli. Molto si è fatto nel campo terapeutico con l’introduzione di nuovi farmaci e di nuovissime ed efficienti tecniche chirurgiche; tuttavia, le innovazioni più importanti si riscontrano nel campo della diagnostica dove la tecnologia avanzata ci fornisce sofisticati strumenti per ottenere diagnosi sempre più precoci.
Questi strumenti di cui parliamo li troviamo particolarmente nel campo
della Diagnostica per Immagini e in quello della Medicina di Laboratorio.
Per quanto riguarda la Diagnostica per Immagini, oggi possiamo disporre di apparecchiature estremamente precise e con una risoluzione talmente elevata che ci permettono di individuare patologie allo stadio precoce: parliamo di Ecografi, Tac Spirale monostrato o multistrato, Risonanza Magnetica ad alto campo e PET.
Nel settore della Medicina di Laboratorio l’avvento della Biologia molecolare, nell’ultimo decennio, ha portato all’introduzione di numerosi test predittivi che, abbinati a indagini più tradizionali come la determinazione di alcuni biomarcatori, ci consentono di fare diagnosi precoci di malattie tumorali e non tumorali.
Se parliamo di prevenzione dei tumori, non bisogna trascurare quelle indagini più tradizionali e consolidate che oggi sono le uniche ad avere un ruolo riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale.

- Una Mammografia ogni anno, eventualmente abbinata ad una Ecografia Mammaria, per le donne sopra i 40 anni, per la prevenzione dei tumori al seno;

- Un test del sangue occulto eseguito ogni anno su tre, campioni di feci, e in caso di positività una Colonscopia, dopo i 50 anni, per la prevenzione del tumore al Colon;

- Un test del Psa all’anno, per gli uomini sopra i 50 anni, associato ad una visita urologica ed una Ecografia Transrettale, per la prevenzione del tumore della prostata.

Sono semplici linee guida che l’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità) ha emanato per una prevenzione oncologica efficace e tempestiva e con un ottimo rapporto costo/beneficio.
In conclusione possiamo dire che la medicina ha fatto passi da gigante nella scoperta di nuove terapie per la cura dei tumori ma che, a tutt’oggi, la strada più sicura da percorrre è sempre quella della prevenzione e della diagnosi precoce che, avendo a disposizione armi sempre più affinate, ci consente di ottenere guarigioni sempre più frequenti.

Incontinenza urinaria femminile, anticamera della depressione

Secondo recenti studi sono oltre 2 milioni in Italia le donne al di sopra dei 35 anni che soffrono di incontinenza urinaria.
Tale dato è sicuramente sottostimato poichè non prende in considerazione il cosiddetto "sommerso", vale a dire il grande numero si pazienti che, pur presentando il disturbo, tendono a tenerlo nascosto o più semplicemente ad ignorarlo. In effetti l'incontinenza urinaria, patologia di rilievo praticamente nullo se considerata secondo un criterio di prognosi quodam vitam, assume un ben più importante significato se si osserva sulla base delle implicazioni a carico della qualità della vita, tanto da renderla un vero e proprio problema sociale prima che un problema medico, minando l'autostima di chi ne è affetto, causando in molti casi senso di vergogna del proprio corpo, estrema limitazione della socializzazione e della vita di relazione, difficoltà nei rapporti di coppia con importanti riflessi negativi anche sull'attività sessuale.

La predominanza della sofferenza psicologica, la cui gravità non sempre è in relazione all'entità del disturbo, ma deriva soprattutto dallo status sociale e dallo stile di vita della paziente, può in casi rari portare allo sviluppo di patologie psichiatriche secondarie di carattere depressivo, rendendo assai difficoltosa la gestione della paziente da parte dello specialista. A ciò va aggiunta una considerazione di carattere economico riguardante la notevole incidenza sulla spesa pubblica per la fornitura continua di presidi anti incontinenza, quali i pannolini, gli assorbenti e altro materiale analogo, spesa che per una paziente incontinente di 65 anni si stima essere intorno ai 2500-3000 euro annui.

Dal punto di vista clinico tale patologia viene definita come la perdita involontaria di urine in tempi e modi non appropriati e, anche se più raramente rispetto agli anni passati, viene molte volte vissuta dalle pazienti come un'inevitabile conseguenza dell' avanzare dell' età, convinzione a volte talmente radicata da portare a considerare l'incontinenza come un evento naturale e in qualche modo fisiologico come la menopausa e la comparsa delle rughe.

Le diverse manifestazioni cliniche di tale patologia permettono di classificarla in:
incontineza di sforzo (stress incontinence)
incontinenza da urgenza (urge incontinence)
incontinenza mista

L'inquadramento dignostico dell' incontinenza urinaria, spesso affrontato da un punto di vista multidisciplinare dove sia l'urologo che il ginecologo vengono chiamati in causa, deve prendere in considerazione tutte le possibili cause, senza escludere alterazioni di tipo neurologico, iatrogeno o metabolico che comunque esulano dalla presente trattazione.