Meglio un farmaco generico?

Stentano ad affermarsi in Italia i farmaci generici o equivalenti, come si denominano più recentemente le medicine prive di “griffe” e quindi più economiche. Lo dimostrano i dati ma, ancor di più, lo ha testimoniato recentemente la rivista Altroconsumo che ha condotto tra medici e farmacisti un interessantissimo test. Su 75 medici sentiti da Altroconsumo in 34 città italiane, ai quali è stato chiesto un farmaco economico ed appropriato per combattere il dolore per un mal di denti, solo 21 medici hanno indicato un farmaco generico o equivalente.
Ciò significa che la sfida con la “griffe” è stata persa 21 a 54. Leggermente meglio sul fronte dei farmacisti: la metà di quelli intervistati (33 casi nei quali l’ipotesi era realizzabile) ha spontaneamente o su richiesta sostituito il prodotto di marca indicato dal medico di base con un altro più economico.
Nel frattempo nelle farmacie ha fatto ingresso una locandina stampata dalla Federfarma, la federazione dei farmacisti. All’insegna dello slogan “Abbassiamo la febbre dei prezzi con i farmaci equivalenti” si si ricorda al paziente: “Puoi risparmiare sino al 40 per cento, consigliati con il tuo farmacista”. In realtà, si capisce che il processo di sostituzione è lento ma, sopratutto, a detenerne il controllo è il medico di famiglia.
Per questo abbiamo chiesto a Mario Falconi, appena rieletto Presidente della Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale), cosa ostacola il decollo di questa nuova forma di risparmio della spesa sanitaria.

Innanzitutto – risponde – c’è un aspetto d’impatto psicologico già nella definizione di questi farmaci. Sin dall’inizio abbiamo chiesto di chiamarli non generici ma equivalenti. Solo quattro mesi fa si è capito che il termine generico sminuisce il valore equivalente del farmaco di sostituzione. C’è poi un altro aspetto. Le autorità vorrebbero che si raggiungessero le quote di mercato già presenti in Germania e in Inghilterra dove il sistema è in piedi da diversi anni. Non si dice però che tra equivalenti e generici si è già superato il 10 per cento del mercato complessivo, sottolineando anche che le case produttrici per alcuni prodotti hanno quasi equiparato il loro prezzo con l’equivalente. E’ il caso, per esempio, dell’Aulin che costa quasi quanto il Nimesulide”.

C’è poi un’altra questione – prosegue Falconi – ed è la resistenza che fanno anche i pazienti. Loro sono i primi che vorrebbero risparmiare ma cambiare il farmaco con la sua scatolina colorata non è come sostituire un paio di scarpe. Ci sono componenti emotive, il cosiddetto effetto placebo, che entrano in gioco. Eppoi, ci si chiede, non è che anche per le medicine succede come con le sottomarche di orologi o cellulari che non c’è tanto da fidarsi?”.